Nel 2008 la mia voglia di comunicare al mercato delle storie e delle informazioni sul mondo del biologico si è esternata pensando, e scrivendo, un periodico bimestrale: LA SCIENZA DELLA QUALITA’, che costruivo con il basilare aiuto di esperti delle molteplici branche della galassia del biologico.
Ne sono usciti solo sette numeri, ma le soddisfazioni che ho avuto sono state molto significative. Anche se la voglia di fare, andando avanti con il progetto, mi ha fatto temporaneamente dimenticare gran parte delle informazioni scritte negli articoli contenuti.
Il caso ha voluto che la memorizzazione dei dati in un vecchio PC, mi abbia permesso di fare tornare in vita questi ricordi. Che mi hanno emozionato tantissimo e fatto tornare la voglia di agitare la muleta del torero. In questo caso di colore verde.
Rivitalizziamo, come zombi elettronici, gli articoli dopo aver spennellato una mano rinfrescante.
LSDQ LA NASCITA DELLA RIVISTA
La parola “certificazione”, e tutti i concetti a lei collegati, ha già da un po’ di tempo piena diffusione in tutti i mercati e, di conseguenza, su tutti i media.
Storicamente e inconsciamente, inoltre, la certificazione è a stretto contatto con il concetto di qualità.
Sono in pratica diventati conseguenti: normalmente ed erroneamente si pensa che un qualcosa che è certificato sia anche di “alta qualità”.
Ma com’è, generalmente, percepita la parola “qualità”, un termine che viene utilizzato in modo oggettivo, quando, in realtà, sottintende concetti altamente soggettivi e personali?
Domanda interessante.
Ed è un interrogativo ancor più interessante, alla luce di quanto ha evidenziato una inchiesta di Agrisole riguardo le motivazioni che portano un consumatore all’acquisto di un prodotto.
Il 76% dei consumatori ha risposto che è il prezzo la molla che fa scattare l’acquisto oppure lo blocca. L’adeguatezza o meno di un prezzo è, almeno nel valore assoluto, abbastanza soggettiva. Diverso è il caso di comparazione di costi tra due prodotti uguali, in questa circostanza è una valutazione prettamente numerica, quindi oggettiva. Ma, in ogni caso, con il 76% siamo sempre al secondo posto.
Al primo posto, tra le motivazioni che portano a un acquisto, con l’86% c’è la ricerca della qualità.
E mai nulla è usato in modo indefinito come la parola qualità in questo contesto.
La qualità è un sostantivo e, pertanto, non si può utilizzare accompagnato da articolo determinativo.
Infatti, la grammatica italiana e, di conseguenza la percezione comune, afferma che l’articolo determinativo si può utilizzare quando il nome si riferisce a una cosa sola, ben precisa. E la parola qualità ha ben poco di unicità e precisione.
La qualità è, infatti, per assioma assolutamente soggettiva e indeterminata, se non in collegamento con un aggettivo che la qualifichi. Quindi tutte le comunicazioni che riportano la parola al loro interno senza una opportuna qualificazione, rischiano di essere potenzialmente molto pericolose e nebulose, di copertura di un atteggiamento di indirizzamento verso una qualità pilotata a priori. Quella più comoda ai potentati industriali o politici.
Senza considerare la possibile pressione, anche subliminale, che può far passare come appetibili determinate caratteristiche di livello qualitativo molto basso.
Si tratta della qualità percepita o, ancor meglio, che ci fanno percepire, contrapposta alla qualità reale e consapevole.
Le uniche difese che abbiamo nei confronti dei molteplici casi di qualità percepita sono la conoscenza e l’informazione, senza le quali si diventa sempre più soggetti deboli e influenzabili nei confronti delle spinte verso le qualità più di comodo che reali.
Il mio pensiero, pertanto, è che il mercato debba essere “riempito” di informazioni riguardo quella che mi piace definire Scienza della Qualità, per permettere ai consumatori e agli operatori all’interno di tutte le filiere una scelta più consapevolmente e specifica, conforme alle proprie reali aspettative di qualità.
Allo scopo si è pensato di creare un gruppo (esperti, professionisti e aziende) che possano portare conoscenza, immagine e garanzia.
Ho incominciato, pertanto, a proporre il progetto a esperti dei più vari settori, con però il denominatore comune della ricerca massima della qualità in tutte le sue sfaccettature. Le risposte sono state di immediata e unanime accettazione e la cosa mi ha, come è ovvio, nello stesso tempo spaventato e stimolato. Ma, altrettanto ovviamente, lo stimolo è stato più forte dello spavento.
In pratica il gruppo dovrebbe avere la funzione sia di garante e comunicatore della professionalità del progetto, sia di gestore dello stesso. Si è cercato in questo modo di creare quella compagine che permetta quell’attività di divulgazione che potremmo riassumere con la frase Scienza della Qualità” prima riportata.
Ed è nata questa rivista.
(La Scienza Della Qualità Numero 0 del Settembre 2008)
SE L’INFORMAZIONE AIUTA LA SCELTA
Ce n’est qu’un début continuons le combat.
Non vorrei che questo incipit risultasse pretenzioso e poco rispettoso per il movimento del ’68, però il mio stato d’animo, nel momento di scrivere l’editoriale per il primo numero (ma seconda uscita) di questa rivista, è proprio quello di chi ha incominciato un’avventura con la consapevolezza che sarà complessa e non di breve durata.
L’avventura di chi si è impegnato in uno dei progetti più difficili da portare avanti: diffondere l’informazione.
Paradossalmente è proprio in questo momento di “globalità” che l’informazione può essere fintamente oggettiva e pericolosamente indirizzata.
Quando, infatti, non esisteva la possibilità di svolgere verifiche dirette delle notizie diffuse era più facile che si avesse voglia di fare qualche approfondimento o, almeno, non si prendessero per oro colato le notizie propagate.
Ora, pigramente, ci accontentiamo delle immagini che sempre accompagnano una notizia, con la falsa convinzione di essere stati testimoni oculari degli avvenimenti che, quindi, hanno avuto la necessaria verifica confirmatoria.
Siamo, ahimè, molto lontani dalla realtà.
L’informazione che ci raggiunge molte volte non è così corretta e approfondita da permetterci delle valutazioni e delle decisioni consapevoli.
È questa la parola d’ordine di La Scienza della Qualità: fornire informazioni oggettive e approfondite per arrivare alla consapevolezza decisionale.
Personalmente, infatti, sono contento se le persone seguono i miei consigli perché mi trovano professionalmente competente e serio, ma sono molto più gratificato se riesco a comunicare tutte le informazioni che permettano delle scelte autonome in conformità alle aspettative personali.
In questo numero incominciamo a organizzare i contenuti secondo diverse rubriche, quelle che si è ritenuto essere le più interessanti. Poiché, però, le informazioni devono sempre essere bidirezionali, aspettiamo le vostre indicazioni per cercare di percorrere la strada del miglioramento continuo, già a partire dal prossimo numero che arriverà nelle caselle di posta elettronica di tutti i lettori all’inizio del nuovo anno.
(La Scienza Della Qualità Numero 1 del Novembre 2008)
QUALITA' "DIGITALE" O "ANALOGICA"?
Quando parliamo di qualità è importante definire cosa intendiamo, perché la parola qualità per noi potrebbe avere un significato sensibilmente diverso da quello di molte altre persone.
Per esempio, c’è chi preferisce una mela con un ottimo sapore, anche se il suo aspetto estetico non è perfetto, mentre per la maggioranza delle persone sembra essere più importante il contrario.
Se parliamo, inoltre, della qualità biologica questa oggi è definita dalla legge - semplificando notevolmente - con l’assenza dell’uso di prodotti di sintesi nella coltivazione e nella trasformazione.
Per la nostra opinione, questa precisazione è insufficiente, per diversi motivi:
- Proprio per una questione di gusto: il mangiare dovrebbe essere un piacere, cullato dal profumo e dal sapore e ci si è stancati dei tanti prodotti certificati biologici che non hanno alcun sapore.
- L’obiettivo principale dell’agricoltura biologica è sempre stato produrre alimenti più sani, per la persona e per l’ambiente. L’assenza di pesticidi è solo un aspetto di questo, certamente importante, ma altrettanto importante è la vitalità di un alimento che si esprime per esempio con un maggior contenuto in sostanze nutritive come vitamine, minerali, antiossidanti ecc. e che apporta più energia a chi lo mangia.
- Perché in origine l’agricoltura biologica era qualcosa di più, era un modo di rapportarsi diversamente con la natura e l’ambiente, era intesa come un servizio invece di una rapina energetica e ritengo, vista la situazione attuale, che questo sia oggi più importante che mai per la sopravvivenza attuale e futura del nostro pianeta.
L’odierno sistema di controllo degli alimenti biologici, non prende in considerazione questi aspetti (ad eccezione dell’assenza di pesticidi) e perciò definisce la “qualità biologica” con il livello più basso consentito dalla legge europea. Per il consumatore esigente e attento si perde così ogni significato più elevato, perché non fornisce elementi per la valutazione di aspetti diversi dall’assenza dell’uso di pesticidi.
Rimane solo la possibilità di farsi una graduatoria personale delle aziende e degli organismi di certificazione, basandosi sul sapore e il profumo degli alimenti, che generalmente rappresenta abbastanza bene il modo di coltivazione e la loro vitalità.
Per il consumatore meno attento ed esigente, invece, un prodotto biologico vale un altro, indipendentemente dalla sua vitalità, dal contenuto in vitamine, minerali e antiossidanti, dalla sua localizzazione, dalla sua esposizione e dal modo in cui sono stati trattati il terreno, le piante e l’ambiente.
Così l’unico criterio di scelta all’interno della categoria del biologico diventa, inesorabilmente, il prezzo. Di conseguenza, chi coltiva e trasforma bene, deve abbassare il livello di qualità per rimanere concorrenziale sul mercato, portando tutto il reparto del biologico a un livellamento qualitativo verso il basso.
Questo è il problema di tutti i sistemi di controllo che sono, per così dire, “digitali”: esiste solo il sì e il no, la qualità minima c’è o non c’è.
Non ha nessuna importanza quanto la qualità reale sia lontana dalla qualità minima, sia in senso di eccesso, che difetto.
Al consumatore attento una certificazione di questo tipo non dà nessuna possibilità di individuare il prodotto più consono alle proprie aspettative, attuando una scelta consapevole.
Solo un sistema “analogico”, che prende in considerazioni diversi aspetti di qualità potrebbe dare le informazioni necessarie per capire fino a che punto un prodotto sia conforme ai desiderata.
Con una serie di informazioni analogiche, che dovrebbero essere mantenute aggiornate, si potrebbe capire quanto un prodotto corrisponde alle proprie aspettative e a questo punto fare realmente un rapporto qualità/ prezzo secondo le esigenze personali.
Una certificazione analogica della qualità sarebbe, contrariamente a quello che avviene con una digitale, un grande stimolo per le aziende a migliorare la loro qualità, con conseguenti vantaggi per il consumatore e in molti casi anche per l’ambiente. Anzi in questa circostanza l’ambiente potrebbe entrare direttamente negli aspetti certificati, e non solo in agricoltura biologica.
Naturalmente una certificazione analogica diventa piuttosto complessa, da mantenere aggiornata, perché dovrebbe prevedere di fornire il maggior numero di informazioni utili sui vari aspetti che compongono la qualità di un prodotto dal punto di vista dei consumatori.
L’azienda che aderisce dovrebbe avere libera scelta sugli aspetti da certificare, cioè una azienda potrebbe certificare solo un aspetto, mentre un’altra sceglierne dei differenti.
Altro punto essenziale sarebbe la comunicazione al mercato dettagliata delle varie qualità certificate al consumatore, oggi facilmente risolvibile tramite la strada di internet. Proviamo a vedere quali potrebbero essere gli aspetti di qualità da certificare per un prodotto biologico.
Naturalmente si tratta di un’ipotesi che si basa principalmente sulle nostre esigenze di consumatore e andrebbe necessariamente ampliata con le esigenze di altre persone.
- Le qualità organolettiche del prodotto, compreso odore, sapore, consistenza
- Il contenuto in sostanze vitali come vitamine, minerali, antiossidanti
- La qualità bioenergetica, cioè quanta energia ha l’alimento
- Quali e quanti interventi agronomici sono stati effettuati (concimazioni, lavorazioni, trattamenti…) sulla coltura
- Come è stata eseguita una eventuale trasformazione
In più sarebbe interessante aggiungere anche informazioni sull’azienda stessa come:
- dov’è situata,
- come e da chi viene condotta,
- che impatto ha sull’ecosistema e sull’ambiente in generale,
- bilancio sociale e ambientale,
- qual è l’etica aziendale.
Certamente alcuni di questi aspetti sono piuttosto difficili da certificare e da comunicare. Per esempio solo alcune delle qualità organolettiche sono misurabili, mentre l’odore e il sapore sono aspetti strettamente soggettivi, dove la certificazione potrebbe esistere solo nella raccolta dell’opinione dei consumatori con l’aiuto di internet e per alcuni prodotti. Il contenuto in sostanze vitali è verificabile con le analisi, ma probabilmente pone non solo un problema di costo su lotti di piccole e medie dimensioni e di attendibilità su lotti di grandi dimensioni, ma anche di tempistica nel caso di alimenti facilmente deperibili.
Si potrebbe pensare a certificare solo uno o due lotti in rappresentanza degli altri, naturalmente con il rischio che qualcuno possa fare il furbo. Per quanto riguarda la qualità bioenergetica esiste già qualche metodo di analisi (come la cristallizzazione) che però andrebbe raffinato e reso più facilmente interpretabile.
Per la discussione di questo aspetto si rimanda a un intervento futuro.
(La Scienza Della Qualità Numero 1 del Novembre 2008)
LA COMUNICAZIONE DELLA QUALITA' REALE NEL MONDO AGROALIMENTARE
La Qualità Reale è composta da tutti i possibili parametri, della produzione e della trasformazione, che il mercato e i consumatori vorrebbero conoscere, per eseguire un acquisto consapevole.
La fiducia nel marchio commerciale è un parametro di scelta molto personale, opinabile e fortemente spinto e guidato dalla pubblicità. Se non fosse un mezzo di scelta molto importante e facilmente indirizzabile, non spiegherebbe il denaro speso nella comunicazione pubblicitaria.
Generalmente, purtroppo, la pubblicità è utilizzata non per informare sulle caratteristiche intrinseche e peculiari del prodotto, ma per cercare di creare un’immagine positiva allo stesso o al marchio in generale. In questo modo sono privilegiati aspetti emozionali rispetto a quelli oggettivi o misurabili scientificamente.
La verifica organolettica, per sua stessa caratteristica, è possibile solo posteriormente all’acquisto. È molto soggettiva, contestabile ed è sfruttabile solo nel periodo di garanzia di un prodotto, che non è altro che il tempo che intercorre tra l’acquisto e il consumo dello stesso o alla sua scadenza commerciale. Periodo che, come si è già detto, può essere molto limitato, pertanto abbastanza scomodo per chi ha intenzione di organizzare una procedura di contestazione dell’acquisto.
Inoltre non sempre, visto la distruzione del prodotto stesso al momento della sua consumazione, la non conformità può essere provata adeguatamente in sede di contradditorio.
Dopo questa, riteniamo, attenta disamina sugli alimenti, passiamo all’altra tipologia di prodotto, quella non edibile. Molto differente è il caso, ad esempio, della valutazione dell’acquisto di un’automobile o di un macchinario in genere, dove possiamo utilizzare, allo scopo di verificare il concetto già espresso, gli stessi mezzi di indagine sopra riportati per i prodotti agroalimentari.
L’indagine visiva e la lettura dell’etichetta sono molto facilitati, rispetto agli alimenti, dall’immutabilità, sia di forma che di componenti, del singolo prodotto all’interno del modello. Abbiamo, pertanto, tutto il tempo necessario per una valutazione approfondita, utilizzando la visione diretta o altre metodologie di indagine e reperimento di informazioni, sia di provenienza cartacea o digitale.
I siti web, in particolare, sono la fonte di informazione più comoda per i prodotti che subiscono delle modificazioni con cadenze temporali relativamente sostenute.
I dati che si possono ottenere, riguardo al macchinario che vogliamo acquistare, sono generalmente molto approfonditi e applicabili, come già detto sopra, a tutti i singoli prodotti dello stesso modello. Differente, ripetiamo, è il caso dei prodotti alimentari per i quali, proprio in considerazione della macro variabilità tra i lotti e della micro variabilità all’interno del lotto stesso, non è possibile una valutazione omogenea e definitiva.
La fiducia del marchio commerciale segue le stesse regole del prodotto alimentare mentre, invece, la fase di garanzia, quella della verifica organolettica post acquisto è totalmente differente, a vantaggio dei prodotti non alimentari.
Infatti, il lungo periodo di tempo disponibile per la verifica dopo l’acquisto e il fatto che il bene non si consumi né si trasformi rende molto più agevole, approfondita e comprovabile la valutazione.
Nei tre o cinque anni, ad esempio, di garanzia di un’automobile difficilmente possono sfuggire dei difetti di fabbricazione. Come caso personale posso portare una “maledizione” che mi perseguita. In tutte, e dico tutte, le sette automobili da me acquistate fino ad ora, c’erano dei problemi di guarnizioni dei vetri, o di altri componenti, di conseguenza piogge molto forti ottenevano il non desiderato risultato di creare delle infiltrazioni d’acqua.
In alcuni casi, quando la garanzia era solo annuale, sono dovuto intervenire economicamente per riparare l’inconveniente, a causa del mio poco celere riscontro del problema. Quando, invece, la garanzia si è allungata ai tre anni, è sempre stata la casa automobilistica a dover intervenire.
La comparazione tra le due tipologie di prodotti dovrebbe essere stata sufficientemente approfondita per poter affermare che, se un prodotto è per sua natura di breve durata commerciale e subisce delle trasformazioni al momento del suo utilizzo, è di difficile valutazione e ci si affida, per il suo acquisto, in modo quasi totale ad informazioni poco approfondite, soprattutto di natura emotiva e difficilmente verificabili.
Non è un caso che un prodotto agroalimentare sia facilmente soggetto a falsificazioni, riguardo le comunicazioni delle proprie caratteristiche o delle garanzie dei controlli a monte della vendita. Il consumatore, in realtà, ha poche armi, nella situazione attuale, per potersi difendere da queste false informazioni.
Infatti, le più importanti difformità tra le caratteristiche reali e quelle millantate, presenti in generale sul mercato, sono certamente in campo agroalimentare.
Queste difformità sono comunemente definite sofisticazioni alimentari e periodicamente qualche scandalo diffuso dai mass media viene a confermare tale asserzione. La maggiore carenza d’informazione, per una decisione di acquisto consapevole, purtroppo è sempre in campo agroalimentare.
L’aspettativa prioritaria dell’acquirente di una automobile, di un macchinario o di un elettrodomestico è che l’oggetto funzioni e che il periodo della garanzia sia il più lungo possibile. Anche perché, in molti casi, non si parla più di convenienza dell’aggiustatura di un malfunzionamento, bensì della sostituzione dell’intero prodotto.
È difficile traslare lo stesso concetto di aspettativa in un prodotto alimentare. In estrema sintesi potrebbe essere la seguente somma di affermazioni: bello da vedere, buono da mangiare e, visto il limitatissimo periodo di “garanzia”, ricco di informazioni per potere accertarsi della conformità alle aspettative del consumatore.
Le aspettative che possono essere esplose, in modo esemplificativo, nei concetti di provenienza delle materie prime, della mancanza di principi attivi dannosi, della conoscenza dei quantitativi dei costituenti degli alimenti, della salvaguardia dell’ambiente di lavoro, dell’attuazione di un piano di controlli analitici molto approfonditi, delle metodologie di trasformazione utilizzate (solo fisiche o, quanto meno, con l’utilizzo di sostanze chimiche ritenute non dannose), della verifica della rintracciabilità degli ingredienti lungo la filiera, dell’utilizzo di materiale di imballaggio che sia ritenuto adatto per la tipologia dell’alimento, dell’informazione delle metodologie di conservazione utilizzate lungo tutta la filiera e di tutte le altre infinite aspettative.
Come si può facilmente capire, la maggioranza di queste informazioni non sono reperibili né con una lettura delle etichette o dei pieghevoli pubblicitari né, tanto meno, con la visione o l’assaggio del prodotto.
Quindi, cosa è possibile fare per avere delle risposte al comprensibile desiderio di verifica delle proprie aspettative di qualità e per cercare di evitare le truffe alimentari?
E inoltre, mettendosi il cappello del produttore italiano, cosa si può fare per valorizzare il più possibile le proprie produzioni, rispetto a quelle di provenienza meno verificabile, anche se più convenienti economicamente?
La risposta è molto semplice, sia dal punto di vista concettuale che attuativo.
Concettualmente devo avere come obiettivo quello di portare a conoscenza del mercato tutte le caratteristiche del prodotto e della produzione, lo devo fare garantendo, tramite soggetti terzi, che le informazioni trasmesse siano reali e devo rendere queste informazioni
di facile accesso.
A questo punto salta all’occhio che un comportamento di questo tipo è altamente discriminante verso i produttori che non lo fanno. La domanda che il mercato si porrebbe sarebbe la seguente: non lo realizzano, perché non sono in grado di farlo o non hanno delle informazioni che possano portare valore aggiunto alle proprie produzioni?
In tutti i due i casi, l’immagine che ne ricaverebbero non sarebbe positiva e, se il numero di quelli che svolgono regolarmente questa pratica di comunicazione diffusa aumentasse, rischierebbero di rimanere fuori da un futuro standard minimo di commercializzazione.
Attuativamente, poi, questa comunicazione diffusa delle caratteristiche del prodotto e della produzione è relativamente semplice. Nell’era dell’informatica e dell’obbligatorietà della rintracciabilità aziendale, ampliare il numero di informazioni trasmesse da ogni segmento della filiera e coordinare il trasferimento dei dati dal campo allo scaffale sono assolutamente possibili, anche in presenza di parte della filiera già informatizzata.
Prove di questo tipo si sono già fatte con successo e il passaggio dalla sperimentazione all’applicazione estesa sarà a breve termine.
Anche la messa a disposizione dei dati al mercato è molto semplice, il raggiungimento dell’obiettivo può essere ottenuto tramite un sito web o altra metodologia con cui viene trasmessa l’intera o parziale banca dati che fa riferimento all’alimento e al suo produttore.
Questa comunicazione diffusa, che in alcuni convegni è stata definita Qualità Reale, si può applicare concretamente a qualsiasi tipologia di produzione, anche non agroalimentare, e segna il cambiamento della certificazione da una verifica della conformità di un prodotto, rispetto a un disciplinare precostituito, alla verifica che le informazioni che riguardano un prodotto, o meglio ciascun lotto di prodotto, siano reali.
I vantaggi di questa evoluzione sono evidenti: la possibilità di poter comunicare anche quelle informazioni che non sono previste dal disciplinare, la possibilità di comunicare i livelli qualitativi di ogni parametro e non solo il suo raggiungimento, comprendendo pertanto anche i livelli eccezionali, la possibilità di adeguare la propria comunicazione ai singoli mercati di riferimento, la possibilità, soprattutto, di non rimanere invischiati nell’abbassamento del livello qualitativo che la certificazione tradizionale rischia ultimamente di avere.
Tutto questo per arrivare allo scopo che qualsiasi produttore e organismo di certificazione dovrebbe avere: la comunicazione della qualità reale. commissione europea ha approvato
(La Scienza Della Qualità Numero 1 del Novembre 2008)
CE N'EST QU'UN DEBUT CONTINUONS LE COMBAT
Non vorrei che questo incipit risultasse pretenzioso e poco rispettoso per il movimento del ’68, però il mio stato d’animo, nel momento di scrivere l’editoriale per il primo numero (ma seconda uscita) di questa rivista, è proprio quello di chi ha incominciato un’avventura con la consapevolezza che sarà complessa e non di breve durata.
L’avventura di chi si è impegnato in uno dei progetti più difficili da portare avanti: diffondere l’informazione.
Paradossalmente è proprio in questo momento di “globalità” che l’informazione può essere fintamente oggettiva e pericolosamente indirizzata.
Quando, infatti, non esisteva la possibilità di svolgere verifiche dirette delle notizie diffuse era più facile che si avesse voglia di fare qualche approfondimento o, almeno, non si prendessero per oro colato le notizie propagate. Ora, pigramente, ci accontentiamo delle immagini che sempre accompagnano una notizia, con la falsa convinzione di essere stati testimoni oculari degli avvenimenti che, quindi, hanno avuto la necessaria verifica confirmatoria.
Siamo, ahimè, molto lontani dalla realtà.
L’informazione che ci raggiunge molte volte non è così corretta e approfondita da permetterci delle valutazioni e delle decisioni consapevoli. È questa la parola d’ordine di La Scienza della Qualità: fornire informazioni oggettive e approfondite per arrivare alla consapevolezza decisionale.
Personalmente, infatti, sono contento se le persone seguono i miei consigli perché mi trovano professionalmente competente e serio, ma sono molto più gratificato se riesco a comunicare tutte le informazioni che permettano delle scelte autonome in conformità alle aspettative personali.
In questo numero incominciamo a organizzare i contenuti secondo diverse rubriche, quelle che si è ritenuto essere le più interessanti. Poiché, però, le informazioni devono sempre essere bidirezionali, aspettiamo le vostre indicazioni per cercare di percorrere la strada del miglioramento continuo, già a partire dal prossimo numero che arriverà nelle caselle di posta elettronica di tutti i lettori all’inizio del nuovo anno.
(La Scienza Della Qualità Numero 1 del Novembre 2008)
Il LIBRO VERDE sulla qualità dei prodotti agricoli
Il Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoli, pubblicato il 15 ottobre 2008, diventerà sicuramente un punto di riferimento per il concetto di qualità in generale e per i legittimi desideri dei consumatori riguardo alle informazioni che arrivano sul mercato, per verificare il rispetto delle loro aspettative. A mio parere questo punto di riferimento sarà sì, in prima battuta, soprattutto in ambito agroalimentare, ma poi evolverà in altri comparti analoghi e limitrofi, quali il cosmetico e il tessile.
Cerchiamo di analizzarne gli aspetti principali.
Già nella prefazione si esaminano alcune novità che stanno modificando in modo sostanziale i parametri che regolano il mondo agroalimentare. Viene approfondito, per prima cosa, il concetto di globalizzazione in senso non positivo: viene considerata una delle motivazioni dell’aumento delle importazioni di prodotti da paesi extra UE con direzione UE. Ma, ahimè, le produzioni in questi paesi non devono sottostare alle regole previste all’interno della UE.
Questo concetto è inserito in modo quasi subliminale.
Prima si afferma, infatti, che la pressione di vendita dei paesi extra UE è dovuta, soprattutto, al basso costo di produzione, però, di seguito, viene evidenziato che l’arma più potente che gli agricoltori UE possano utilizzare è l’alta qualità. Caratteristica che è stata raggiunta in conseguenza alle normative vigenti e agli investimenti che gli agricoltori e i produttori dell’intera catena alimentare dell’UE devono aver fatto per conformarsi alle regole.
È evidente che il messaggio del Libro Verde è che non solo gli agricoltori extra UE hanno delle possibilità produttive a minor costo, ma che non devono sottostare alle regole europee sulla sicurezza alimentare, con tutte le possibili conseguenze del caso.
Un secondo punto toccato, molto interessante, è la definizione della qualità, che non è altro che la soddisfazione delle aspettative dei consumatori (il punto finale della filiera) e dei grossisti (all’interno della filiera).
I consumatori e i grossisti hanno necessità non solo di acquistare le derrate alimentari a un conveniente rapporto qualità/prezzo, ma anche di poter verificare altre caratteristiche che portano all’acquisto di un prodotto e che devono essere approfondite.
Queste peculiarità da sapere sono di diverso tipo: zona di produzione, metodi di produzione e altro.
In pratica è tutto quello che il produttore desidera far conoscere e che il consumatore (o il grossista) vuole conoscere.
In questo modo, continua la pubblicazione, si riescono a differenziare i propri prodotti sul mercato, ottenendo così un vantaggio competitivo.
Benissimo.
Fino ad ora il Libro Verde è stato molto chiaro: poiché il produttore europeo produce in modo migliore e, in alcuni casi, secondo dei disciplinari ben codificati (DOP, IGP, STG, Biologico e altro), ottiene un prodotto superiore e molto ben controllato. Lo deve solo far sapere e riuscirà ad ottenere il vantaggio economico che lo ripaga dei maggiori costi sostenuti per migliorare la produzione e adeguarsi alle regole.
Una frase della pubblicazione è molto indicativa: aiutare i consumatori a scegliere e/o decidere se pagare di più per un dato prodotto.
Sinceramente mi sarebbe piaciuto che fosse inserito anche il concetto, sicuramente più drastico, di aiutare il consumatore a decidere se acquistare o meno un prodotto. Sarebbe passato l’idea, forse pericolosa, che non tutto quello che le norme consentono è da acquistare.
D’altra parte, in realtà, è l’UE stessa che dichiara che in alcuni paesi extra UE non si sono le stesse regole da osservare e ammette una oggettiva concorrenza sleale nel mercato.
Altri punti importanti da rilevare sono presenti nella parte della pubblicazione che analizza i requisiti di produzione dell’UE.
I requisiti di produzione si evolvono continuamente in funzione delle richieste della società. Dovrebbero rappresentare un importante fattore di qualità degli alimenti offerti in vendita e un pregio da mettere in risalto. Si nota invece una certa mancanza di informazione dei consumatori circa l’esistenza e il rispetto di questi requisiti di produzione.
E ancora.
Occorre stabilire un nesso più diretto tra i requisiti di produzione – al di là di quelli strettamente attinenti all’igiene e alla sicurezza – applicati dall’insieme degli agricoltori dell’UE e il prodotto ottenuto. Se fossero più ampiamente conosciuti e riconosciuti dai consumatori, questi requisiti di produzione potrebbero diventare un vantaggio commerciale.
Fino ad ora tutte le strade del Libro Verde, come già detto, convergono nel crocevia dell’INFORMAZIONE.
La parola d’ordine è: in UE si lavora meglio, si seguono le regole (vedi le norme di commercializzazione, sia semplificate che di autoregolamentazione, di cui si parla a lungo nella pubblicazione), si spendono dei soldi per ottenere questi risultati, facciamolo sapere ed avremo il valore aggiunto che ci ripaga dei soldi spesi e ci fornisce la giusta remunerazione. Inoltre impediamo, con il “filtro informativo” una eccessiva importazione dei prodotti extra UE di cui, fino a prova contraria, poco sappiamo.
Non si può non essere d’accordo.
Ma, e qui arriviamo al punto cruciale, come facciamo a comunicare queste informazioni?
Il primo dei possibili metodi è quello di essere inseriti in uno dei quattro sistemi di qualità (indicazioni geografiche, agricoltura biologica, specialità tradizionali e prodotti delle regioni ultraperiferiche dell’Unione Europea) specifici a livello UE.
Questo: affinché i consumatori possano avere la certezza che le indicazioni riportate in etichetta sono veritiere, il rispetto del disciplinare è controllato da un’autorità pubblica o da un organismo di certificazione privato. Gli agricoltori che commercializzano i prodotti genuini sono tutelati dalla concorrenza sleale di prodotti contraffatti venduti con la denominazione protetta. Il loro impegno e le loro cure supplementari dovrebbero quindi essere ricompensati da un prezzo di vendita superiore.
Una seconda possibilità è quella di conformarsi ad altri sistemi di certificazione nazionali e privati. Infatti, come riportato sempre dalla pubblicazione, per gli agricoltori, infine, i sistemi in questione rappresentano un costo, ma anche un mezzo per comunicare le qualità dei prodotti ai consumatori.
Però anche il Libro Verde si rende conto del pericolo di assuefazione insito in questa metodologia operativa di esibizione di marchi: tuttavia, la proliferazione di certificazioni e di etichette in questi ultimi anni ha fatto sorgere dubbi circa la trasparenza dei requisiti prescritti da questi sistemi, la credibilità delle indicazioni e i loro possibili effetti sulla correttezza dei rapporti commerciali.
Non potranno, infatti, essere i marchi o le etichette a risolvere i problemi di comunicazione delle qualità intrinseche del prodotto, quelle che come si è detto riusciranno a convincere il consumatore e spendere più denaro per l’acquisto di un prodotto, in modo tale da remunerare in modo adeguato il produttore.
L’unica vera possibilità di fare una comunicazione approfondita, aggiornata e sistematica è di utilizzare l’onnipotente internet per inserire, gestire ed emettere le informazioni.
Il marchio di garanzia è un fattore limitativo della qualità, quello che io ho sempre definito binario (SI / NO). Un segno grafico che equivale al 6 scolastico e appiattisce tutti i prodotti al livello minimo.
Il prodotto è promosso. Bene, ma quali sono le sue caratteristiche? Non è previsto né possibile saperlo.
La vera novità sarebbe che il segno grafico non garantisse il prodotto, ma una gestione delle informazioni le più ampie e approfondite possibili, al limite assicurate da un organismo di certificazione, a cui poter attingere in tempo reale attraverso il grande serbatoio dell’web.
In questo modo le caratteristiche dei prodotti sarebbero comunicate in modo approfondito ed esaustivo e la funzione “protezionistica” della qualità europea, ma mi piacerebbe dire italiana, sarebbe garantita.
Noi siamo già pronti a percorrere questa strada, ora la palla passa al mercato.
(La Scienza Della Qualità Numero 2 del Gennaio 2009)
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